Quando un alimento si può definire biologico? Primi passi per un consumo critico

La richiesta di prodotti sani e genuini aumenta, per cui l’offerta è sempre più ampia: supermercati,
negozi online, mercatini a Km0, punti vendita direttamente presso le aziende agricole, ecc.
In questa ricerca del cibo sano, è molto importante avere prima di tutto chiarezza sul
significato di alcuni termini: biologico, naturale, km 0, filiera corta, si tende a confonderli
dandogli un unico generico significato, ovvero quello di cibo sano e derivante da un modello di
agricoltura sostenibile.
Non è affatto così, le differenze sono grandi. Facciamo chiarezza:

 

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1. Agricoltura biologica

Quando un alimento si può definire biologico?
Solo quando è stato prodotto da un’azienda che ha ottenuto una apposita certificazione
da
un Organismo Nazionale di Controllo, autorizzato dal Ministero dell’Agricoltura.
L’agricoltura biologica è normata a livello europeo, in particolare dai Reg. CE 834/2007
e Reg. CE 889/2008. L’Organismo di Controllo si occupa del rilascio della certificazione e dei successivi
controlli, che effettivamente l’azienda produca nel rispetto del metodo di produzione biologico.
Il metodo di coltivazione e di allevamento previsto dal protocollo biologico ammette solo l’impiego
di sostanze naturali, presenti cioè in natura, escludendo l’utilizzo di sostanze di sintesi chimica
per concimi, diserbanti e insetticidi.

Il marchio che identifica un prodotto biologico e che deve essere presente in etichetta è questo:

logo bio

In definitiva, è illegale associare ad un alimento il termine biologico per promuoverlo o
commercializzarlo quando non è stato prodotto da aziende certificate ai sensi dei suddetti
regolamenti europei.
E’ importante infine evidenziare come il concetto di biologico sia totalmente distinto da quello
di filiera corta o Km0
: per esempio, i prodotti biologici venduti nei negozi specializzati sono spesso
di importazione, anche extra europea.

 

2. Agricoltura a lotta integrata

L’Agricoltura integrata è un metodo di produzione che prevede l’adozione di tecniche compatibili
con la conservazione dell’ambiente e la sicurezza alimentare attraverso la minimizzazione dell’uso
dei prodotti chimici di sintesi
. E’ quindi un termine generico.
Tuttavia, la Regione Toscana ha creato il marchio Agriqualità, rilasciato seguendo procedure simili
a quelle previste per la certificazione biologica, mediante gli stessi organismi di certificazione,
ma con distinto disciplinare (quello appunto riferito ad una agricoltura integrata).
Tale marchio ha avuto diffusione praticamente soltanto in realtà aziendali che operano
nella grande distribuzione.

 

3. Agricoltura naturale

Termine di uso comune, ma che non trova alcun riscontro giuridico: per questo il suo significato
è assolutamente soggettivo. Si può intendere un’agricoltura del tutto assimilabile a quella biologica,
oppure facente uso limitato di sostanze chimiche di sintesi (tipo l’agricoltura integrata).
Visto che in questo caso il produttore non è soggetto a nessun obbligo o controllo diverso da quelli
previsti per un’azienda agricola che coltiva in modo convenzionale, l’unica garanzia per il consumatore
è il rapporto di fiducia con il produttore/commerciante.
Per questo motivo, il termine “agricoltura naturale” viene utilizzato in genere da aziende molto piccole,
che operano con sistemi di vendita diretta o comunque di filiera corta (GAS, mercatini locali,
punti vendita in azienda).

 

4. Filiera corta e Km0

Anche questi sono termini di uso comune, il cui significato non è giuridico ma puramente
indicativo e soggettivo. In genere, per filiera corta si intendono forme distributive in cui il prodotto
passa dalle mani del produttore a quelle del consumatore senza o con un solo intermediario.
Si parla inoltre di Km0 quando la distribuzione di un prodotto avviene nello stesso territorio
di produzione.

 

Nel prossimo articolo: Prodotti biologici e a Km0: ma sarà sempre possibile?

 

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